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Il 10 ottobre la Sophos Formazione AT S.r.l.s. terrà sulla piattaforma Zoom un open day.

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Ad ottobre p.v. si aprirà il nuovo primo anno del Master Socio Educativo e Pastorale della Sophos Formazione AT S.r.l.s.

GLOBALIZZAZIONE E INTERNET: UN’IPOTESI PSICOPATOLOGICA

Dott.ssa A. Liverano (PTSTA) – Dott.ssa C. Messana (PTSTA)
Psicologia Psicoterapia e Salute, vol.9, 2, pp. 211-219

L’Analisi Transazionale ha sempre riservato un posto di rilievo allo studio della comunicazione interpersonale, e Berne fin dall’inizio, nel teorizzare e presentare l’AT, in linea con la Psicologia dell’Io (Hartmann, Rapaport, Federn, Weiss), e con l’approccio delle Relazioni Oggettuali, che ha privilegiato gli aspetti relazionali nella formazione della personalità (Fairbain, Guntrip, ecc.), ha sottolineato la stretta e imprescindibile connessione esistente tra “psichiatria individuale” e “psichiatria sociale”, tra analisi strutturale della personalità e analisi dello scambio sociale (cfr. Berne, 1957a e b; 1961). L’Analisi Transazionale, infatti, è una teoria della personalità e del rapporto sociale, un metodo clinico di psicoterapia, basata sull’analisi di tutte le transazioni possibili fra due o più persone ( Berne 1972).

Restando in questa prospettiva, volgiamo l’attenzione a cosa è avvenuto nell’ambito della comunicazione e dello scambio interpersonale nell’ultimo decennio: si è assistito all’esplosione del fenomeno Internet e, con esso, al dilagare della comunicazione virtuale. È in continuo aumento il numero delle persone che “soggiorna” più o meno a lungo nel cyberspazio, sia per reperire informazioni di carattere professionale, sia per ampliare la propria rete di contatti sociali.

Ma tali contatti possono ancora chiamarsi “sociali”, “interpersonali”? Cosa succede quando la comunicazione si realizza attraverso un oggetto inanimato come il computer? Che conseguenze può avere il fatto di preferire e privilegiare tale tipo di comunicazione?

In campo psicologico e psichiatrico si comincia a prestare attenzione agli eventuali influssi positivi e/o negativi che si possono verificare a livello personale, sociale, e culturale, con il diffondersi dell’uso, e talvolta abuso, di Internet.

Anche noi nel preparare questa relazione abbiamo ipotizzato che ci possa essere qualche relazione tra caratteristiche di personalità ed il modo di accostarsi ad Internet, e che, d’altra parte, soprattutto la prolungata permanenza nella rete possa avere a sua volta degli influssi sulla personalità di chi “naviga” in essa. Riteniamo, inoltre che l’AT possaoffrire degli spunti interessanti per riflettere in questa direzione.

Va precisato che nel parlare di Internet in questa sede, non entriamo in merito alla descrizione del suo funzionamento e dei diversi servizi reperibili in rete quali, ad esempio, l’e-mail, le banche dati, i newsgroup o gruppi di discussione, le chat room, … (cfr. Valente – Cappelleri, 2000). Facciamo comunque principalmente riferimento ai gruppi di discussione e alle chat room (servizio della rete che permette di comunicare in tempo reale con tutte le persone che in un dato momento hanno attivato lo stesso collegamento) perché questi sono i servizi che più attirano le persone che dedicano molto tempo a navigare in rete, e su cui si è cominciata a fare qualche ricerca.

Può essere utile fare una piccola parentesi su chi sono i Chattanti. Si comincia a chattare per curiosità, noia, perché è veloce, economico e, principalmente per solitudine. In linee generali possiamo dire che i chattanti sono persone solitarie, con problemi di autostima, timide o con qualche tipo di difficoltà per intraprendere relazioni sociali “tradizionali”, ansiose e che hanno bisogno di una ricompensa immediata. Normalmente usano un altro nome quando navigano in chat e sentono che è più facile comunicare o parlare di certi temi chattando, piuttosto che con le persone a loro vicine. Potrebbe trattarsi di un problema nel “faccia a faccia”, di una crisi nelle relazioni interpersonali o una nuova forma di comunicare l’intimità? E’ importante notare che c’è una differente percezione nel giudizio di chi chatta: per esempio, alcuni considerano “gli altri chattanti” come banali e che fuggono dalla realtà, ma non considerano la stessa cosa nel momento in cui sono essi stessi a chattare. Le persone si conoscono virtualmente e a volte nascono storie. Storie virtuali, ma con le stesse caratteristiche di una “storia vera”, sebbene prvate della corporeità (Boffano, 2002).

Dato questo contesto,partiamo dalla considerazione che grazie ad Internet abbiamo a che fare con una nuova forma di interazione, in cui è difficile discriminare se si tratti di una comunicazione interpersonale o di massa. C’è una nuova configurazione di emittenti e riceventi: si intergisce con il mondo globale!

Su due aspetti in particolare vogliamo soffermarci, e cioè sulla possibile distorsione spazio-temporale che si verifica quando ci si lascia prendere dall’interazione in rete, e sulla questione della verità e/o della simulazione (cfr. Caretti – La Barbera, 2001)

In primo luogo Internet può favorire la distorsione dello spazio e del tempo: il lontano sembra vicino, Tokyo sembra dietro l’angolo. Inoltre si può non rendersi conto di quanto tempo si impieghi a rispondere al “mondo”, a mantenere il ritmo nella frequenza dei messaggi, a migliorare la pagina di presentazione (la home page) del proprio sito. Tutto questo può diventare sempre più attraente anche perché solitamente lo si vive al di fuori del controllo da parte di altre persone, in un mondo esclusivo, comodo, protetto dalla distanza e dall’anonimato. Si può passare dall’entusiasmo iniziale per Internet ad una sorta di dipendenza da esso, in cui si comincia a considerare come non vita quella che si trascorre fuori dalla rete, ed in cui si perde il controllo del proprio tempo (Ballance – Ballance, 1996), tanto che alcuni psichiatri, dapprima Goldberg (1995) di New York e poi la Young (1995; 1999) di Pittsburgh, hanno cominciato a parlare (in rete!) della IAD (Internet Addiction Disorder) legata all’uso ossessivo di Internet. Tale disordine non èancora inserito nel DSM IV-TR (APA, 2000).Si tratterebbe di un abuso-dipendenza da Internet (orientativamente si può considerare come limite critico le 5-6 ore giornaliere di collegamento) che, secondo la Canadian Medical Association, è reale come lo è l’alcolismo, e che, come le altre dipendenze, provoca sintomi d’astinenza, isolamento sociale, problemi coniugali e prestazionali, problemi economici e lavorativi. Cantelmi e D’Andrea (2000), facendo il punto su alcune pubblicazioni relative alla IAD, delineano quali sarebbero alcune caratteristiche delle persone più a rischio, e cioè: l’età (tra i 15-40 anni); la presenza di difficoltà comunicative legate a problemi psicologici, psichiatrici, a problemi relazionali, e/o d’emarginazione; il fatto di lavorare in un ambiente altamente informatizzato; svolgere lavori notturni e isolati; l’isolamento geografico; e soprattutto la presenza di tratti ossessivo-compulsivi, e/o di aspetti di ritiro e inibizione sociale.

Senza andare oltre nell’approfondimento di questa nuova sindrome che, per quanto accennato, sembra rappresentare un comportamento di evitamento, e prescindendo da etichette di tipo prettamente psichiatrico, vogliamo riprendere la nostra ipotesi iniziale e soffermarci a fare una prima riflessione rispetto alle persone che vivono il web in maniera totalizzante e finiscono per distorcere sia lo spazio che il tempo.

Alcuni concetti dell’AT che riteniamo utili per leggere il comportamento delle persone che “navigano” per molte ore in Internet sono: la fame di stimoli e di carezze, visto che tramite Internet alcune persone superano i limiti interpersonali posti dall’isolamento reale, oppure quelli legati ad handicap fisici gravi; la svalutazione, nelle aree del sé, dell’altro, e della situazione, dato che la persona perde il senso di dove sta, di quanto tempo trascorre in rete, del valore della sua vita al di fuori della rete, di quali siano le esigenze proprie e di chi gli sta accanto, ecc.; i messaggi controingiuntivi “sii perfetto”, “dacci dentro”, “compiaci”, dato che la persona si affanna per cercare di tener testa, nel miglior modo possibile, ai messaggi che gli arrivano; i messaggi ingiuntivi “non essere intimo” ( psicologicamente e fisicamente), e “non appartenere”, visto che in effetti l’interlocutore diretto è una macchina, il computer. Vogliamo però soffermarci un po’ su quest’ultima considerazione e chiederci: la persona che apparentemente sta evitando l’intimità con chi le sta accanto, preferendo a questa l’interazione in rete, è nel copione o sta cercando di curarsi dal copione? Possiamo ipotizzare che stia cercando di “aggirare” l’impasse tra il messaggio ingiuntivo e il desiderio di contatto, grazie all’opportunità offerta dalla rete di vivere una realtà virtuale? Il fatto di poter sperimentare un’intimità virtuale permette di stare contemporaneamente dentro e fuori dal copione: da una parte, anche se virtuale, si ha uno scambio intimo, e dall’altra si mantengono le distanze dalle relazioni circostanti.

Rispetto al fatto che l’uso delle chat in Internet possa essere un modo di aggirare il copione o di agirlo, accenniamo ad un paio di situazioni.

R., giovane donna, inizia a utilizzare le chat con lo scopo di conoscere persone. Da una anamnesi storica si evidenzia, inibizione a entrare nelle relazioni intime per paura di essere ridicolizzata, preoccupazione per la critica, sentimenti di inadeguatezza. Dall’analisi del suo copione emergono le ingiunzioni “non essere intima”, “non essere te stessa”, “non sentire”, e le controingiunzioni “sii forte” e “spicciati”. Il gioco che maggiormente utilizza è il “Sì ma – sì però”. Secondo il DSM IV-TR, il suo comportamento soddisfa i criteri per fare una diagnosi Disturbo Evitante di Personalità. L’uso della chat, quindi, sembra che l’aiuti a entrare in una pseudorelazione aggirando il copione evitante.

Il caso di D., affermata professionista, docente in un Ateneo universitarioè diverso: D. usa le chat per scopi puramente sessuali, incontrando, senza la minima protezione, le persone che conosce. D. non pensa agli eventuali pericoli a cui può incorrere, agisce l’impulso. La chat diventa, in questo caso, il luogo dove attiva l’acting – out. Le ingiunzioni presenti nel suo copione sono: il “non pensare”, “non essere intima”, “non esistere”, “non essere te stessa”, “non”; le controingiunzioni presenti sono: “sii perfetta”, “dacci dentro”, “spicciati”. I giochi che utilizza nelle relazioni sono il “Ti ho beccato figlio di puttana”, “Burrasca” e il gioco dell’alcolista. D. ha un comportamento che rientra nel Disturbo Borderline di Personalità.

Come dicevamo prima ci sembra riduttivo fare un nesso causa effetto tra aspetti di personalità e uso di internet, anche perché le opportunità ricche e stimolanti offerte da Internet possono essere occasione per nuove scelte di vita; vogliamo tuttavia fornire degli spunti per accostarci ai clienti che fanno un uso eccessivo di internet, per cercare di comprendere che significato danno alla propria esperienza e dunque orientare l’eventuale intervento clinico.

L’altro punto su cui ci vogliamo soffermare riguarda la questione verità e/o simulazione, a cui abbiamo già accennato, che si connette alla possibilità di creare nuovi sé e nuove identità. Colui che comunica via Internet, ad esempio nelle chat, oltre a creare dei testi, si trova nella condizione di poter creare “se stesso”: un sé virtuale nello scambio interpersonale virtuale (per un approfondimento del “self virtuale”, cfr. anche Cardaci, 2001). Questo sé virtuale può essere più o meno vicino al sé reale: ci si può presentare per come si è o per come si vorrebbe essere. Alcuni autori (ad es.: Turkle, 1996) vedono dunque nel mondo virtuale, l’opportunità per accedere a molti nostri sé che, se elaborati, possono contribuire a sviluppare un’identità più fluida, molteplice ma integrata. D’altra parte, qualora il sé virtuale si discosti molto da quello reale e una persona soggiorni a lungo in rete presentandosi con tale sé virtuale, può perdere il senso di quello che è vero e di quello che non lo è vero, fino al punto, nei casi più gravi, di disconnettere le proprie funzioni di coscienza, memoria, identità e percezione dell’ambiente e manifestare un Disturbo Dissociativo (cfr. Caretti, 2000; APA, 2000).

L’anonimato garantito dalla rete, insieme alla possibilità di avere il controllo di quali informazioni su di sé rendere note, e di poter manipolare la propria identità, possono dunque avere dei risvolti positivi o negativi: per alcune persone è l’occasione per superare le proprie difficoltà relazionali, superare la propria timidezza o senso di inadeguatezza nello scambio faccia a faccia, ed aprirsi ad un’espressione libera e profonda di sé, che poi può anche portare da incontri virtuali ad incontri positivi reali, al di fuori della rete. D’altra parte si possono fingere personalità molto diverse dalla propria e finire poi per crederci, confondendo realtà e finzione e alienandosi da sé (Ballance – Ballance, 1996). Va tenuto presente, inoltre, che anche l’interlocutore con cui avviene lo scambio virtuale può non essere del tutto sincero.

Tenendo conto di ciò, possiamo capire come mai le chat room sono tra i servizi della rete che più facilmente possono comportare dei risvolti disfunzionali, senza necessariamente giungere ai casi più recenti di cronaca nera. Facciamo solo qualche esempio di situazioni che si possono venire a creare. Ci sono persone che si illudono che le amicizie on-line siano più vere di quelle reali, e più svalutano il mondo reale, più hanno bisogno di contatti virtuali. Ma gli scambi in Internet sono o non sono interpersonali?

Come fa notare bene Galimberti,nello scambio virtuale molta parte della comunicazione, del calore dell’interazione viene persa.Ciò che nell’internet si scambia, quando non è una somma spropositata di banalità, è pur sempre una realtà personale che non diventa mai una realtà condivisa. Lo scambio ha un andamento individualistico dove un numero di eremiti di massa comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo, chiusi nel loro guscio come i “guru”, non per rinunciare al mondo, ma per non perdere neppure un frammento del mondo in “immagine”. Ciò comporta un capovolgimento tra interiorità e esteriorità, e più in generale tra interno e esterno. Se un tempo la famiglia era “l’interno” in cui si scambiavano quei tratti affettivi d’ira e d’amore e più in generale quella libertà espressiva che occorreva contenere fuori “all’esterno”, oggi la casa reale, è ridotta a un container per la ricezione del mondo esterno via cavo, via telefono, via etere, e quanto più il lontano si avvicina, tanto più il vicino, la realtà di casa, quella familiare, si allontana e impallidisce. Tutto ciò non dipende dall’uso che facciamo “dei mezzi”, ma dal fatto che ne facciamo semplicemente uso, per cui gli “scopi” a cui sono preposti i “mezzi”, ma i “mezzi” come tali trasformano l’immagine in realtà e la realtà in fantasia (Galimberti 2000).

Un altro esempio legato al reale/virtuale, può essere quello del “tradimento virtuale”: colui che intreccia una relazione extraconiugale via Internet, può sempre pensare e affermare di essere “a posto” perché non c’è niente di “reale”: è soltanto “virtuale!!”. Il partner “tradito” può sentirsi confuso e incapace di fronteggiare la situazione, visto che il “rivale” con cui si confronta nella realtà è il monitor di un computer: cosa può succedere in una coppia qualora si verificasse una situazione del genere?

Ancora una volta l’AT può offrire delle interessanti chiavi di lettura del comportamento di coloro che manipolano la propria identità in rete.

Riprendendo il concetto precedente di fame di carezze, oltre al fatto che, come abbiamo già detto, Internet permette di ovviare a delle situazioni di reale isolamento, esso può essere l’occasione per rinforzare la propria posizione copionale adattata: una persona può cercare e ottenere carezze mostrandosi per come “dovrebbe” essere, a partire dai dettami genitoriali; oppure, d’altra parte, può usare la rete per “ribellarsi” e trasgredire al dover essere, continuando tuttavia a restare imbrigliata nei limiti del proprio copione.

Possiamo riferirci, in questi casi, alla cosiddetta pseudologiafantastica (Snyder, 1986) presente nei disturbi marginali.

Accenniamo ad un altro esempio clinico. T., uomo di 38 anni, inizia a chattare da qualche mese, in seguito a due situazioni difficili che ha vissuto, una lavorativa e una affettiva. Ripropone una modalità a lui familiare: ha difficoltà a tollerare le frustrazioni, si deresponsabilizza completamente di ciò che accade, e si sposta da una polarità di grandiosità ad una di svalutazione. La chat gli serve per mantenersi nel polo grandioso, dove si presenta manager, e imbastisce relazioni sessuali virtuali. Anche per lui sono presenti le ingiunzioni “non pensare”, “non essere intimo”, “non fidarti”, e le spinte “sii perfetto”, “compiaci”, “dacci dentro”. I suoi giochi preferiti sono “Burrasca” e “Gamba di legno”. Il comportamento di T. è classificabile in un Disturbo Narcisistico di Personalità.

D’altra parte riteniamo però possibile che, grazie al fatto di essere protetti dalla “finzione”, la comunicazione in rete possa essere occasione, per “fare le prove” di comportamenti nuovi, spontanei, coerenti con il proprio vissuto autentico. Un altro concetto che riteniamo particolarmente utile è quello di gioco: quale magnifica occasione crea la confusione tra realtà e finzione, per esporsi a (come Vittime), oppure agire (come Persecutori), scambi relazionali, colpi di scena, nel momento in cui si decide di passare da uno scambio on-line, ad uno scambio faccia a faccia?

In conclusione, con questa relazione non si è voluto demonizzare o assolvere l’uso di Internet, in quanto molti degli effetti ad esso collegabili, dipendono soprattutto dal come si utilizza, e dal contesto interpersonale in cui avviene la fruizione di esso. L’obiettivo che ci siamo prefissate è stato quello di accostarci al fenomeno Internet con una chiave di lettura analitico transazionale, cosa che ci può aiutare a comprendere se i clienti che incontriamo stanno usando Internet come uno spazio “vergine”, in cui fare nuove esperienze di sé, autonome e spontanee al di fuori del loro copione, oppure se tale uso possa costituire un potente rinforzo di quadri di riferimento disfunzionali e patologici.

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